EDILIZIA E URBANISTICA - ORDINANZA DI DEMOLIZIONE - Cons. Stato Sez. VI, 29-11-2017, n. 5585

EDILIZIA E URBANISTICA - ORDINANZA DI  DEMOLIZIONE - Cons. Stato Sez. VI, 29-11-2017, n. 5585

L’ordinanza di demolizione di un immobile abusivo (pur se tardivamente adottata) non deve essere motivata sulla sussistenza di un interesse pubblico concreto e attuale al ripristino della legalità violata. Non si può applicare a un fatto illecito quale l’abuso edilizio il complesso di acquisizioni che, in tema di valutazione dell’interesse pubblico, opera per la diversa ipotesi dell’autotutela decisoria. Non è possibile connettere al decorso del tempo, e all’inerzia dell’amministrazione, la sostanziale perdita del potere di contrastare l’abusivismo edilizio, ovvero di legittimare in qualche misura l’edificazione avvenuta senza titolo (d.p.r. n. 380/2001, T.U. Edilizia) . La mera inerzia da parte dell’amministrazione nell’esercizio di un potere (dovere) finalizzato alla tutela di rilevanti finalità di interesse pubblico non è idonea a far divenire legittimo ciò che (l’edificazione sine titulo) è sin dall’origine illegittimo. Cons. Stato Sez. VI, 29-11-2017, n. 5585

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 9347 del 2015, proposto dai signori M.M.Z. e M.S., rappresentati e difesi dall'avvocato Stefano Beltrami, con domicilio eletto presso lo studio dell'avvocato Lorenzo Prosperi Mangili in Roma, via Gian Battista Vico, n. 1;

contro

il Comune di Misano Adriatico, in persona del sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato Giancarlo Migani, con domicilio eletto presso lo studio dell'avvocato Fabrizio Brochiero Magrone in Roma, via Ulpiano, n. 29;

per la riforma della sentenza del T.A.R. Emilia-Romagna - sede di Bologna - Sez. I n. 257 del 2015;

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio del Comune di Misano Adriatico;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 9 novembre 2017 il Cons. Dario Simeoli e udito per gli appellanti l'avvocato Prosperi Mangili, in delega dell'avvocato Beltrami;

Svolgimento del processo

1.- Con il ricorso di primo grado n. 498 del 2013 (proposto al TAR per l'Emilia Romagna, Sede di Bologna), la signora M.M.Z. impugnava l'ordine di demolizione emesso dal Comune di Misano Adriatico in data 29 marzo 2013, relativo ad un manufatto ubicato in via del Carro ? nell'area distinta in catasto al foglio 18 mappale 165 ?, nonché (con motivi aggiunti) la nota del 25 giugno 2014, n. 55, con cui la stessa Amministrazione comunale respingeva l'istanza di concessione edilizia in sanatoria relativa alla medesima costruzione.

1.1.? La ricorrente deduceva che:

- la contestazione dell'abuso era stata preceduta da provvedimenti contraddittori della stessa Amministrazione comunale;

- il manufatto trovava legittimo titolo in un atto concessione per ristrutturazione ancora efficace;

- l'ordine di demolizione era stato adottato in violazione del principio del legittimo affidamento, essendo stato emesso dopo oltre quindici anni dall'ultimo sequestro penale avvenuto nel 1997;

- dall'art. 3 del d.P.R. n. 380 del 2001 si ricava che il risultato di una ristrutturazione può essere anche un edificio in tutto diverso dal precedente, con eliminazione di elementi anche costitutivi dell'immobile;

- la richiesta di concessione in sanatoria avrebbe dovuto comportare la sospensione del procedimento sanzionatorio;

- (quanto ai motivi aggiunti) il sopravvenuto diniego di concessione in sanatoria, di cui alla nota del 25 giugno 2014, si sarebbe dovuto notificare anche agli eredi del comproprietario, deceduto il 20 aprile 2014.

2.- Il TAR con la sentenza n. 257 del 2015 respingeva il ricorso introduttivo e i motivi aggiunti, rilevando quanto segue:

"Il primo motivo del ricorso principale va rigettato, in quanto il provvedimento è ampiamente motivato e ripercorre tutta la lunga serie di atti che hanno caratterizzato l'immobile, dai quali emerge chiaramente che non vi è più alcuna concessione in essere essendo stata revocata quella a suo tempo accordata. Non deve essere tutelato alcun affidamento poiché era stata ordinata la demolizione del manufatto abusivo, ed in materia edilizia la mancata esecuzione d'ufficio di provvedimenti anche per lungo tempo non crea alcun affidamento.

Il secondo motivo è parimenti infondato in quanto a prescindere da ogni qualificazione edilizia il manufatto era stato costruito ad una distanza minima dal confine e non poteva ivi trovarsi, tanto è vero che i vecchi proprietari erano stati condannati dal Tribunale di Rimini ad arretrare il fabbricato a cinque metri dal confine.

Il terzo motivo è superato dall'intervenuto diniego di concessione in sanatoria.

L'autonomo motivo di ricorso del ricorso per motivi aggiunti non può trovare accoglimento perché è inammissibile non avendo interesse la ricorrente ad eccepire un vizio che eventualmente danneggia altri soggetti. Peraltro la domanda di concessione in sanatoria era stata presentata dalla sola ricorrente ed i provvedimenti sanzionatori sono stati notificati a tutti i comproprietari".

3.- Avverso la sentenza del TAR, hanno proposto appello i signori M.M.Z. e M.S. ? quest'ultimo nella qualità di coerede dell'originario comproprietario, signor Alberto S., deceduto in data 20 aprile 2014 ?, chiedendo, in sua riforma, l'accoglimento del ricorso introduttivo del giudizio di primo grado.

Avverso la sentenza impugnata, gli appellanti muovono le seguenti doglianze.

I giudici di prime cure non avrebbero considerato che il manufatto in contestazione era stato costruito in base alla concessione edilizia n. 4749 del 1993 (per ristrutturazione e arretramento dalla linea di confine del fabbricato ad uso civile abitazione) e che il Comune, dopo aver revocato (con ordinanza n. 70 del 23 maggio 1994) tale concessione, ne aveva però ripristinato l'efficacia, revocando (con ordinanza n. 158 del 22 agosto 1995) la precedente revoca della concessione.

La sentenza civile che ha accertato la violazione delle distanze ? pronunciata peraltro nei confronti dei soli precedenti proprietari ? non avrebbe alcun effetto sulla legittimità o meno dei provvedimenti amministrativi.

L'ingiunzione a demolire relativa alla struttura principale (il fabbricato già oggetto delle precedenti ordinanze di demolizione) sarebbe illegittima, rientrando l'intervento in oggetto nel concetto di "ristrutturazione edilizia", in conformità all'originaria concessione.

Il limitato ampliamento di ml. 12,00 x 1,20, eseguito mediante tamponamento dei balconi esistenti su un lato dell'edificio, non potrebbe essere rimosso per il pregiudizio strutturale e funzionale che sarebbe arrecato alle parti residue dell'immobile, con conseguente applicazione dell'art. 15 della L.R. n. 23 del 2004 e dell'art. 34 del d.P.R. n. 380 del 2001.

Contrariamente a quanto ritenuto dal TAR, gli atti impugnati con ricorso per motivi aggiunti sarebbero stati indirizzati genericamente agli "Eredi S. Alberto Via Sicilia n 6, 47841 Cattolica (RN)", senza curarsi quindi di notificarli individualmente e personalmente agli effettivi eredi nei rispettivi domicili/residenze. La notifica a tutti i destinatari del provvedimento lesivo costituirebbe condizione di legittimità ed esecutorietà del provvedimento medesimo. A questi fini l'atto di appello è stato presentato anche dal signor S.M., il quale, avendo ereditato dal fratello defunto S. Alberto, sarebbe interessato a coltivare il giudizio.

La motivazione del diniego di condono ? incentrata sul fatto che le opere oggetto dell'istanza di sanatoria non avrebbero configurazione autonoma, rispetto all'edificio previsto in demolizione ? costituirebbe una mera tautologia, dal momento che si chiede il condono proprio per evitare l'applicazione della sanzione amministrativa.

Quanto al superamento dei limiti dimensionali stabiliti dalla L.R. n. 23 del 2004, si afferma che "la rimessione in termini prevista dalla legge statale, in favore dell'aggiudicatario di una procedura esecutiva immobiliare, individuale o concorsuale (da ultimo, art. 46, o. 5, D.P.R. n. 380 del 2001), deve ritenersi comprensiva di tutte le possibilità di sanatoria concesse dalla previgente normativa, purché ne sussistano i requisiti di applicazione in relazione alla data di realizzazione delle opere abusive".

4.- Si è costituto in giudizio il Comune di Misano Adriatico, argomentando l'infondatezza del gravame.

5.? Con l'ordinanza n. 4796 del 2016, la Sezione ? "Considerato, all'esito di una delibazione tipica della fase cautelare, che le parti hanno dedotto che la demolizione delle opere asserite abusive è prevista per il 26 ottobre 2006 rectius: 2016; che, valorizzando il requisito del pregiudizio grave ed irreparabile, sussistono i presupposti per la sospensione dell'efficacia della sentenza impugnata nelle more della decisione nel merito della controversia" ? ha accolto l'istanza cautelare di sospensione degli effetti del provvedimento di demolizione.

6.? All'udienza del 9 novembre 2017, la causa è stata discussa ed è stata trattenuta per la decisione.

Motivi della decisione

1.? È opportuno ripercorrere la scansione degli atti rilevanti ai fini della decisione:

- il signor Carlo Z. presentava al Comune di Misano Adriatico una domanda di condono edilizio, ai sensi dell'art. 31 della L. n. 47 del 1985, con cui chiedeva il rilascio della concessione edilizia in sanatoria relativa ad un 'capanno' nell'area distinta in catasto al foglio 18 mappale n. 165, la quale veniva respinta poiché il capanno da condonare non si trovava nella posizione indicata negli elaborati allegati alla domanda di condono;

- la successiva domanda di condono, per lo stesso immobile, veniva invece accolta con rilascio della concessione edilizia n. 1942 del 9 novembre1993;

- in data 18 novembre 1993 il Comune rilasciava la concessione edilizia n. 4749 del 1993, con cui consentiva l'esecuzione dell'intervento di ristrutturazione e di arretramento dalla linea di confine del medesimo capanno in 'lamiera e onduline', destinato a 'civile abitazione';

- all'esito del sopralluogo della Polizia Municipale, di cui al verbale Prot. 33/PM del 29 marzo 1994 (che accertava la demolizione del vecchio manufatto condonato, l'esecuzione di scavi di fondazione e il riempimento degli stessi con cemento armato), l'Amministrazione comunale adottava l'ordinanza sindacale n. 53 in data 6 aprile 1994, con cui ordinava la sospensione dei lavori;

- con l'ulteriore provvedimento n. 6947 del 13 aprile 1994, l'Amministrazione comunale procedeva alla rettifica della concessione edilizia n. 4749 del 1993, precisando che era stata ivi erroneamente indicata l'espressione "civile abitazione", mentre la destinazione effettiva del fabbricato era "accessorio - sgombero";

- a seguito dell'ennesimo sopralluogo del 12 maggio 1994, di cui al verbale n. 92221 del 16 maggio 1994 (che accertava la realizzazione di fondazioni in cemento armato con uno sviluppo perimetrale di ml. 12,50 + 4,00 + 12,50 + 4,00, e che appoggiati ai ferri ancora scoperti erano presenti due pannelli in lamiera, presumibilmente appartenenti al tamponamento del vecchio manufatto), veniva emanata l'ordinanza n. 70 del 1994, con la quale si ordinava la demolizione di tutte le opere abusive dal momento che era stata autorizzata soltanto la ristrutturazione di un capanno in "lamiera e onduline ad uso sgombero", e che il manufatto era comunque posto ad una distanza di mt. 1,50 e doveva quindi essere arretrato; con la medesima ordinanza n. 70 del 1994 veniva nel contempo revocata la precedente concessione edilizia n. 4749 del 1993;

- con atto n. 158 del 22 agosto 1995, veniva disposta la revoca parziale dell'ordinanza n. 70 del 1994, nella parte riguardante la revoca della concessione edilizia n. 4749 del 1993;

- nel prosieguo, essendo proseguita la costruzione dell'opera, veniva emessa una ulteriore ordinanza di demolizione n. 174 del 12 settembre 1995 (con cui si ordinava ai signori Z. Carlo e Z. Massimo la demolizione delle seguenti opere: platea di cemento armato delle dimensioni di ml. 12,60 in lunghezza e mt. 5,20 in larghezza e cm. 23 di spessore; i muri perimetrali dalle dimensioni di mt. 12,60 - mt. 4,40 - mt. 4,10 con altezza di mt. 2,85; - n. 10 pilastri in ferro; - n. 5 finestre di diverse dimensioni ed un ingresso di mt. 1 di larghezza e mt. 2,40 di altezza), la quale veniva impugnata con ricorso giurisdizionale, poi dichiarato perento con decreto del 30 gennaio 2010;

- in data 28 novembre 2012 ? accertato il protrarsi della mancata esecuzione delle ordinanze n. 70 del 1994 e n. 174 del 1995 ? l'Amministrazione comunale emanava il provvedimento n. 55 del 2014 (impugnato con il ricorso principale), avente ad oggetto la demolizione del suddetto manufatto in muratura, ricadente in zona definita dal vigente P.R.G. E3/zona agricola a campagna-parco, e quindi non conforme al vigente P.R.G. ed oggetto di intervento di demolizione e ricostruzione in assenza del titolo abilitativo;

- nel frattempo, la signora Z.M.M., nel frattempo divenuta proprietaria dell'immobile, depositava una domanda di concessione edilizia in sanatoria, questa volta ai sensi della L. n. 326 del 2003 e della L.R. n. 23 del 2004, che veniva respinta con il provvedimento impugnato con i motivi aggiunti.

2.? Prima di scrutinare partitamente i singoli motivi di gravame, occorre rilevare che, ai sensi dell'art. 102 c.p.a. la legittimazione a proporre appello al Consiglio di Stato avverso le sentenze dei Tribunali Amministrativi Regionali spetta solo alle parti fra le quali è stata pronunciata la sentenza di primo grado, nonché all'interventore se titolare di una posizione giuridica autonoma.

Di conseguenza è inammissibile l'appello proposto dal signor S.M. (nella qualità di erede del defunto S. Alberto), dal momento che il ricorso di primo grado è stato proposto soltanto da uno dei comproprietari, ovvero dalla signora M.M.Z..

2.? Con un primo ordine di censure, l'odierna parte appellante contesta ai giudici di prime cure di non aver tenuto conto della perdurante efficacia della concessione edilizia n. 4749 del 1993 (avendone il Comune revocato, con ordinanza n. 158 del 22 agosto 1995, la precedente revoca disposta con ordinanza n. 70 del 1994), cosicché le opere eseguite dai precedenti proprietari dovrebbero considerarsi tuttora assentite da titolo edilizio.

2.1.? La doglianza è infondata.

L'abusività del manufatto in contestazione è oramai irretrattabile.

È dirimente infatti osservare che sono rimaste inoppugnate sia l'ordinanza sindacale n. 70 del 23 maggio 1994 ? con cui era stata ordinata la demolizione del manufatto, sul duplice presupposto che la concessione edilizia n. 4749 del 1993 aveva assentito soltanto l'esecuzione di opere di ristrutturazione dell'originario manufatto in "lamiera ed onduline", e che in ogni caso esso non poteva essere ricostruito nella medesima posizione di quello demolito in quanto si trovava ad una distanza di soli mt. 1,50 dal confine ?, sia l'ordinanza n. 174 del 12 settembre 2005 ? che prescriveva la demolizione della platea in cemento armato (delle dimensioni di ml. 12,60 di lunghezza e mt. 5,20 di larghezza e cm. 23 di spessore), dei muri perimetrali (di mt. 12,60 - mt. 4,10 - mt. 4,10 con altezza di mt. 2,85) e di n. 10 pilastri in ferro.

2.2.? Per quanto riguarda la distanza dal confine, non è fondata l'affermazione secondo cui esulerebbero dalla sfera di competenza comunale i rapporti con i terzi confinanti.

Sebbene il rilascio del titolo abilitativo (anche in sanatoria) faccia salvi i diritti dei terzi e non interferisca, pertanto, nell'assetto dei rapporti fra privati, resta fermo il potere-dovere dell'Amministrazione di verificare la sussistenza di limiti di matrice civilistica per la realizzazione dell'intervento edilizio da assentire (cfr. in tal senso, per il principio, Cons. St., sez. IV, 8 giugno 2007, n. 3027, 16 marzo 2012, n. 1488 e 1513, 4 aprile 2012, n. 1990, 5 giugno 2012, n. 3300).

Nel caso di specie, il Tribunale di Rimini - con sentenza passata in giudicato ? ha accertato che l'edificio violava le distanze dal confine, condannando i precedenti proprietari ad arretrare il fabbricato a cinque metri dal confine.

3.? L'appellante invoca il principio del legittimo affidamento.

In particolare, si afferma che la signora Z. è divenuta comproprietaria dell'immobile per effetto di aggiudicazione del bene in sede di esecuzione immobiliare e che il decreto di trasferimento non recava alcun cenno alla pendenza del procedimento sanzionatorio afferente il fabbricato oggetto dell'odierno giudizio, sicché ella poteva nutrire affidamento circa la possibilità di mantenere lo stato di fatto dell'immobile al momento dell'acquisto presso il Tribunale.

Il Comune, a distanza di circa vent'anni dall'esecuzione delle opere in oggetto, avrebbe inteso demolire integralmente un manufatto, dopo aver posto in essere una congerie di atti contraddittori nel corso del tempo ed avere avviato procedimenti sanzionatori nei confronti degli originari responsabili delle opere senza mai condurli a termine.

3.1.? Anche questo motivo è infondato.

Il Collegio fa proprie le considerazioni da ultimo espresse dall'Adunanza plenaria del Consiglio di Stato n. 9 del 2017.

La mera inerzia da parte dell'amministrazione nell'esercizio di un potere/dovere finalizzato alla tutela di rilevanti finalità di interesse pubblico non è idonea a far divenire legittimo ciò che (l'edificazione sinetitulo) è sin dall'origine illegittimo. Allo stesso modo, tale inerzia non può certamente radicare un affidamento di carattere 'legittimo' in capo al proprietario dell'abuso, giammai destinatario di un atto amministrativo favorevole idoneo a ingenerare un'aspettativa giuridicamente qualificata.

Non si può applicare a un fatto illecito (l'abuso edilizio) il complesso di acquisizioni che, in tema di valutazione dell'interesse pubblico, è stato enucleato per la diversa ipotesi dell'autotutela decisoria. Non è in alcun modo concepibile l'idea stessa di connettere al decorso del tempo e all'inerzia dell'amministrazione la sostanziale perdita del potere di contrastare l'abusivismo edilizio, ovvero di legittimare in qualche misura l'edificazione avvenuta senza titolo, non emergendo oltretutto alcuna possibile giustificazione normativa a una siffatta - e inammissibile - forma di sanatoria automatica.

Se pertanto il decorso del tempo non può incidere sull'ineludibile doverosità degli atti volti a perseguire l'illecito attraverso l'adozione della relativa sanzione, deve conseguentemente essere escluso che l'ordinanza di demolizione di immobile abusivo (pur se tardivamente adottata) debba essere motivata sulla sussistenza di un interesse pubblico concreto e attuale al ripristino della legalità violata. In tal caso, è del tutto congruo che l'ordine di demolizione sia adeguatamente motivato mercé il richiamo al comprovato carattere abusivo dell'intervento, senza che si impongano sul punto ulteriori oneri motivazionali, applicabili nel diverso ambito dell'autotutela decisoria.

Il decorso del tempo, lungi dal radicare in qualche misura la posizione giuridica dell'interessato, rafforza piuttosto il carattere abusivo dell'intervento.

Anche nel caso in cui l'attuale proprietario dell'immobile non sia responsabile dell'abuso e non risulti che la cessione sia stata effettuata con intenti elusivi, le conclusioni sono le stesse.

Si osserva in primo luogo al riguardo che il carattere reale della misura ripristinatoria della demolizione e la sua precipua finalizzazione al ripristino di valori di primario rilievo non si pongono in modo peculiare nelle ipotesi in cui il proprietario non sia responsabile dell'abuso.

Non può infatti ritenersi che, ferma restando la doverosità della misura ripristinatoria, la diversità soggettiva fra il responsabile dell'abuso e l'attuale proprietario imponga all'amministrazione un peculiare ed aggiuntivo onere motivazionale. Ed infatti il carattere reale dell'abuso e la stretta doverosità delle sue conseguenze non consentono di valorizzare ai fini motivazionali la richiamata alterità soggettiva (la quale può - al contrario - rilevare a fini diversi da quelli della misura ripristinatoria, come nelle ipotesi del riparto delle responsabilità fra il responsabile dell'abuso e il suo avente causa).

In altri termini, le vicende di natura civilistica, aventi per oggetto la titolarità di un bene, non incidono sul doveroso esercizio dei potere, conseguente alla violazione delle regole urbanistiche ed edilizie.

4.? Secondo l'appellante, l'ingiunzione a demolire relativa alla struttura principale (il fabbricato già oggetto delle precedenti ordinanze di demolizione) sarebbe illegittima, rientrando l'intervento in oggetto nel concetto di ristrutturazione edilizia, in conformità all'originaria concessione.

4.1.? La censura è infondata

La questione della riconducibilità della tipologia costruttiva in esame nella nozione di ristrutturazione edilizia è inconferente ai fini del decidere.

Salvo il principio per cui occorre un proprio titolo edilizio, l'intervento di demolizione e ricostruzione, ove riguardante un volume edificato senza valido titolo, è per ciò solo anch'esso abusivo.

5.? L'appellante si duole del fatto che l'ordinanza di demolizione avrebbe dovuto motivare circa la possibilità di sostituire la demolizione con la sanzione pecuniaria. Il limitato ampliamento di ml. 12,00 x 1,20, eseguito mediante tamponamento dei balconi esistenti su un lato dell'edificio, non potrebbe essere rimosso per il pregiudizio strutturale e funzionale che sarebbe arrecato alle parti residue dell'immobile, con conseguente applicazione dell'art. 15 della L.R. n. 23 del 2004, e dell'art. 34 del d.P.R. n. 380 del 2001.

5.1.? La doglianza non può essere accolta, per un duplice ordine di considerazioni.

In primo luogo, l'art. 34 del d.P.R. n. 380 del 2001 disciplina gli interventi e le opere realizzati in parziale difformità dal permesso di costruire, prevedendo, al secondo comma, che "quando la demolizione non può avvenire senza pregiudizio della parte eseguita in conformità, il dirigente o il responsabile dell'ufficio applica una sanzione pari al doppio del costo di produzione".

La possibilità di sostituire la sanzione demolitoria con quella pecuniaria, disciplinata dalla disposizione appena citata, deve dunque essere valutata dall'Amministrazione competente nella fase esecutiva del procedimento, successiva ed autonoma rispetto all'ordine di demolizione (Consiglio di Stato, sez. VI, 12 aprile 2013, n. 2001).

In secondo luogo, il comma 2 ha attribuito rilievo al pregiudizio conseguente alla "parte eseguita in conformità" e non si riferisce anche ai casi in cui anche il manufatto oggetto di ampliamento deve essere demolito perché abusivo, come nel caso di specie.

6.? I motivi aggiunti relativi al diniego di concessione in sanatoria ? di data 25 giugno 2014, n. 10260 ? devono essere respinti.

6.1.? Correttamente l'Amministrazione comunale ha rilevato che l'ampliamento oggetto di richiesta di istanza in sanatoria:

- è una parte integrante (nel senso di non essere suscettibile di realizzazione autonoma) di un manufatto oggetto di plurimi e consolidatisi ordini di demolizione;

- esorbita dai limiti dimensionali stabiliti dall'art. 33, comma 3, della L.R. n. 23 del 2004 (non potendo comportare un aumento di cubatura superiore al 10% della singola unità immobiliare originaria).

6.2.? Diversamente da quanto si desume dall'atto d'appello, l'art. 46, comma 5, del d.P.R. n. 380 del 2001 non prevede, in favore dell'aggiudicatario di una procedura esecutiva immobiliare, individuale o concorsuale, "tutte le possibilità di sanatoria".

La disposizione - oltre a riferirsi alle sole ipotesi della mancata menzione degli "estremi" del titolo edilizio - si limita soltanto ad escludere la nullità degli atti di trasferimento (aventi ad oggetto immobili abusivi) derivanti da procedure esecutive immobiliari, individuali o concorsuali, lasciando del tutto impregiudicata l'applicazione delle sanzioni ripristinatorie, qualora l'immobile non si trovi nelle condizioni previste per il rilascio del permesso di costruire in sanatoria (o del condono).

6.3.? Da ultimo, l'odierna appellante non ha interesse a dedurre che sarebbe mancata la comunicazione del diniego di concessione anche agli eredi del defunto comproprietario.

Peraltro ? come osservato dal giudice di prime cure ? la domanda di concessione in sanatoria era stata presentata dalla sola signora M.M.Z..

7.- L'appello, dunque, va integralmente respinto.

7.1.- La liquidazione delle spese del secondo grado di giudizio segue la regola della soccombenza secondo la regola generale.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta), definitivamente pronunciando sull'appello n. 9347 del 2015, come in epigrafe proposto:

- dichiara inammissibile l'appello, quanto al signor M.S.;

- respinge l'appello, come proposto dalla signora M.M.Z..

Condanna gli appellanti, in solido tra loro, al pagamento dello spese del secondo grado di lite in favore della controparte costituita, che si liquidano in Euro 4.000.00 (quattromila), oltre IVA e CPA come per legge.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del giorno 9 novembre 2017, con l'intervento dei magistrati:

Luigi Maruotti, Presidente

Silvestro M. Russo, Consigliere

Marco Buricelli, Consigliere

Dario Simeoli, Consigliere, Estensore

Italo Volpe, Consigliere


Avv. Francesco Botta

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